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Gamification: luci e ombre del nuovo approccio motivazionale

Il termine gamification sta entrando sempre più spesso nel linguaggio comune dei dipartimenti di marketing. L’espressione è stata sdoganata per la prima volta da Jesse Schell, un famoso web designer americano nel 2010. Da allora, a distanza di otto anni, si può affermare che questa strategia sta prendendo sempre più piede, anche se con risultati contrastanti. In cosa consiste esattamente? Vediamo di scoprirlo

Cos’è la gamification

La gamification è un tipo di approccio che permette di stimolare il cliente o il dipendente a compiere determinate operazioni, dietro il riconoscimento di un premio. Un po’ come si fa attraverso i giochi, appunto. Proprio l’esplosione che hanno avuto questi ultimi, ha dato l’input necessario per applicare questa strategia.

Si badi bene: non si tratta di una novità assoluta. In alcuni paesi, come gli Stati Uniti, la Gamification, o comunque una sua forma molto simile, era già applicata durante gli anni ‘80, soprattutto da case automobilistiche e agenzie pubblicitarie.

Il suo ritorno in auge, si deve principalmente ad una scoperta scientifica, ovvero il rilascio di dopamina durante il gioco. Numerose ricerche hanno, infatti, evidenziato come il cervello di un individuo, durante la fase ludica rilasci una quantità di dopamina (un neurotrasmettitore che stimola il piacere) che invita ad aumentare il flusso di gioco.

Proprio basandosi su questo aspetto, si è deciso di incentivare clienti e dipendenti, promettendo loro una ricompensa, in cambio di determinate azioni.

Le fasi della gamification

Le ricompense digitali hanno un grande effetto sugli individui perché sono capaci di attivare tre fattori sociali. Il primo è quello dell’autonomia. Si manifesta quando abbiamo il controllo di noi stessi e siamo in grado di raggiungere i nostri obiettivi da soli, senza aiuto. Il secondo fattore è quello del valore. Se una cosa per noi conta davvero, ci facciamo in quattro per cercare di ottenerla, aumentando le nostre capacità e cercando di andare anche oltre i nostri limiti.

La competizione è il terzo fattore. Inutile negare che l’individuo sia altamente competitivo. Più un compito ci stimola, maggiore è il desiderio di portarlo al termine. Allo stesso modo, se veniamo messi in contrapposizione con un’altra persona, siamo abcora più motivati a batterla per dimostrare di essere migliori.

La Gamification secondo Netflix

La gamification è una strategia che funziona sempre? La risposta è no. Per poter essere efficace ha bisogno, come ogni forma di propaganda, di essere strutturata in modo da invogliare ad agire il target di riferimento. Ne sa qualcosa Netflix.

La Public Company americana lo scorso marzo ha dato il via ad un esperimento di gamification visibile solo da una limitata porzione dei suoi abbonati americani. Nella homepage del servizio di streaming è comparsa la categoria Collect Netflix Paches, che aggiunge meccaniche quali achievements e badge a supporto di una decina di serie tv a target teen di proprietà del medesimo gruppo. Il sistema andava quindi ad assegnare un distintivo per ogni episodio visionato. Con questa strategia si andava a certificare l’effettiva visione del prodotto. L’esperimento è stato rigettato dopo un paio di settimane a causa delle critiche ricevute. I più giovani, infatti, lamentavano per l’eccessivo utilizzo del televisore a cui la gamification li spingeva. I più «scafati», al contrario, trovavano il sistema di «ricompense» inutili e quindi facilmente eliminabile. In questo caso, dunque, Netflix ha commesso un errore relativo alla scelta del target, testando la a sua strategia su un pubblico molto poco orientato all’aspetto ludico dell’inserimento di badge e simili.

L’esempio americano porta ad una conclusione. Parafrasando Don Abbondio, «la motivazione uno se non ce l’ha, non se la può dare». Detto in altri termine, la gamification funziona solo ed esclusivamente su individui con una capacità motivazionale insita in loro, ma non la crea. Questo significa che, per attuare questo tipo di approccio, è necessario prima di tutto scegliere bene un target che abbia la capacità di recepirlo.

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